
Anche quest'anno l'essenza del Natale è celebrata con un enorme Presepe, posto al centro del magnifico colonnato berniniano.




La “sapienza” geometrica delle api è, a dir poco, sorprendente!
Da sempre esse utilizzano la forma geometrica esagonale per la costruzione delle celle nei loro alveari. E tale “competenza geometrica” è condivisa da tutte le api, a livello sociale globale …
Non sono ancora chiari i condizionamenti innati che accompagnano tali comportamenti, tuttavia le api mostrano di sapere come “tassellare un piano”, cioè come ricoprirlo con poligoni, senza sovrapposizioni e spazi vuoti interposti.
Tra i poligoni regolari, soltanto il triangolo equilatero, il quadrato e l’esagono sono tali che, posto uno accanto all’altro, consentono di ricoprire una superficie piana.
In ogni vertice della pavimentazione, infatti, devono convergere figure-tassello con angoli la cui ampiezza sia un divisore di 360 e la cui somma sia uguale a 360° (angolo giro).
Ciò è possibile accostando 6 triangoli equilateri con angoli di 60°, oppure 4 quadrati con angoli di 90° o, infine, 3 esagoni con angoli di 120°.
Delle tre possibilità, l’esagono rappresenta la scelta più coerente con il principio della massima efficienza ed economia: minimo perimetro a parità di superficie.
La quantità di cera, necessaria per realizzare la struttura perimetrale esagonale, è inferiore a quella necessaria per delimitare una superficie equiestesa, ma con perimetro maggiore, come nel quadrato o nel triangolo equilatero!
E le api, abili, operose ed esperte in geometria ed economia, per ridurre al minimo la quantità di cera impiegata, “sanno scegliere” la forma più conveniente, quella esagonale!
Anna righeblu ideeweekend
Con enorme ritardo, e cospargendomi il capo di cenere, rispondo finalmente alla nomina per l’honest scrap di Michelangelo.
Il gioco consiste nell’indicare “onestamente” 10 cose che mi riguardano e che dovrebbero consentire, a chi legge il blog, di conoscermi meglio (ossignùr!)
Ma non finisce qui: dovrei anche nominare altri blogger che continuino il gioco (ri-ossignùr!)
E allora, cominciamo con il gossip!
Ed ecco i "fortunati" invitati a compilare il meme, se vorranno...
1. Tittieco
2. Mammazan
3. Marcella
4. Stella
6. Chiara
Anna righeblu ideeweekend
Ogni ufficio che si rispetti ne ospita un numero variabile, quale "dotazione di serie"...
Sia che si tratti di "asshole" sistematici o temporanei o di non meno sgradevoli "compagnucci della parrocchietta" nostrani, i colleghi serpenti e le colleghe streghe sono persone decisamente indesiderabili!
E... per superare i momenti critici con ironia... provate a individuare il "tipo" del collega-serpente di turno, tra i "tipi" citati in questo articolo...
Io ne ho trovati, eccome se ne ho trovati! E voi?
"Un diavolo per collega"
di Daniela Mastromattei - pubblicato su Libero del 25 -10-2009
- Vademecum di sopravvivenza in ufficio
Loro non parlano, urlano; non ridono, sghignazzano; non si scambiano idee, discutono animatamente quasi sempre della squadra del cuore come fossero al bar dello sport; non lavorano al pc, quando non stanno su Facebook, sono ipnotizzati davanti ai video più demenziali che mai siano stati messi in Rete e che naturalmente sono pure sonori. Ma di mettere le cuffie neanche a parlarne.
E che dire dei loro telefonini? Naturalmente non squillano, mandano a tutto volume improbabili suonerie (musichette odiose, sigle di programmi sfigati e animaletti parlanti). Questo Molto rumore per nulla (per citare Shakespeare) arriva dai colleghi di lavoro «altamente indesiderabili», come li definiscono Jonathan Littman e Marc Hershon, autori dello straordinario, istruttivo e divertente libro “Io odio la gente: come liberarti dagli idioti in ufficio e ottenere soddisfazione dal tuo lavoro” (edito da Corbaccio).
Schopenhauer direbbe: «Il rumore è il più impertinente di tutte le forme di interruzione. Non è solo una interruzione, è un tormento che impedisce di pensare». È stato calcolato che i lavoratori vengono distratti dai vicini di scrivania 73 volte al giorno. Tant’è che su 1500 lavoratori inglesi, 500 erano disposti a rinunciare a una settimana di ferie pur di non lavorare con persone che odiavano.
Littman e Hershon sono andati oltre. Attraverso testimonianze, interviste, test psicologici, studi e ricerche sono riusciti all’interno della grande categoria di colleghi molesti a individuare alcune “specie” di sabotatori, capetti, pugnalatori alle spalle che rendono il luogo di lavoro un campo minato. «Capire in anticipo i limiti delle persone con cui si lavora è un modo per evitare di cadere vittima dell’esasperazione», scrivono gli autori. Le aziende dedicano tempo e risorse ad analizzare la concorrenza vedendola come l’unico nemico da combattere, ignorando che all’interno si consumano guerre molto più feroci. «La gente è potenzialmente in grado di fare cose meravigliose, ma può essere anche terribilmente mediocre e negativa. L’unica persona di cui potete davvero fidarvi in questo pazzo mondo del lavoro siete voi stessi», si legge sul libro. Per usare una riflessione dello scrittore inglese, Samuel Johnson, «Odio il genere umano, perché mi ritengo uno dei suoi migliori esemplari e so quanto sono fatto male».
Ed ecco alcune tra le “specie” più dannose degli altamente indesiderabili.
Lo Stopper è il tipo che ha stroncato più carriere e rovinato più vite di ogni altro: trova sempre una ragione per bocciare le vostre idee mettendovi in ridicolo. Il Ti rubo solo un minuto, interrompe continuamente facendovi perdere la concentrazione, ma anche il bene più prezioso: il tempo. È una persona che irretisce senza che ve ne accorgiate. Apparentemente non sembra neppure così cattivo, ma «la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni». Come difendersi: date una risposta magnanima, per esempio, «ne ho cinque di minuti, ma è il massimo che posso fare».
Immancabile il Iena ridens: ti viene incontro sorridendo come una zucca di Halloween. È uno che nasconde sempre cattive intenzioni: sorride troppo per dire la verità. E chi non si è mai imbattuto in un Fuffologo: un tuttologo molto approssimativo, quasi tutto quello che sa è sbagliato. Ha voce tonante e cervello grande come un’oliva, non distingue le cose serie dalle stronzate con cui infesta l’ambiente di lavoro. In aereo non occorre che sia seduto di fianco a voi per farvi uscire di testa, il suo blaterare senza sosta è insopportabile anche cinque file indietro.
Il più pericoloso è il Bulldozer: un dominatore che crea una dipendenza piena di risentimento. Molti bulldozer sono responsabili del “bullismo in azienda”, se non di mobbing vero e proprio.
Un recente studio promosso dalla Columbia University ha rivelato che nove lavoratori su dieci sono stati maltrattati da un bulldozer almeno una volta e un terzo di loro è entrato in depressione. Gli inglesi che prendono ancor più seriamente i cattivi comportamenti in ufficio ritengono che i prepotenti possano portare alla sindrome post-tramautica da stress e gli attribuiscono la perdita di 18 milioni di giorni di lavoro: le loro vittime perdono in media una settimana di lavoro in più all’anno. Dal momento che i bulldozer non sono sempre bulli e spesso non sono nemmeno così stupidi da offendere direttamente le loro vittime, non ci si può aspettare alcun aiuto da parte della direzione. Con loro il segreto è opporsi con risposte dure ma non troppo, decise ma non minatorie usando la parola “irragionevole”. Loro alzano la cresta solo quando vedono che vi lasciate intimidire. Dimostrate tranquillamente che non vi fanno paura.
E mentre il Bulldozer di turno lo si individua subito, la Faccia di tolla è difficile da scoprire. Il colmo è che spesso viene lodato per la sua abilità nel manipolare gli altri, abilità grazie alla quale i superiori spesso lo reputano una risorsa preziosa per l’azienda. Le facce di tolla intralciano il vostro lavoro, sono maestri del sabotaggio. Non perdete tempo a psicanalizzarli per giustificare il loro comportamento, impegnatevi a riconoscerli e a guardarvi le spalle.
Così come bisogna guardarsi le spalle dal Falso come giuda, professionista della doppiezza, scaltro e imprevedibile. Siete convinti che è vostro amico, e tutto a un tratto, per qualche oscuro motivo, scoprite di averlo contro. Non che gli stiate antipatici, ce l’ha proprio con voi. Si dimostra amichevole, ma ordisce complotti machiavellici che hanno lo scopo di farvi fallire per potersi mettere in mostra lui. Può creare danni alla vostra immagine, alla vostra reputazione e può farlo nel corso di settimane o mesi, lavorando ai fianchi. Non riuscirete a prevenire le sue azioni. Di conseguenza: tocca individuarlo prima e batterlo sul tempo.
Non bisogna cedere mai alla sua sete di pettegolezzi, potrebbe usarla contro di voi. Neanche il Baro è da sottovalutare. Si riempie le tasche a spese altrui, vuole piacere a tutti, abilissimo a individuare le persone disposte a fare il suo lavoro. Ha orari d’ufficio irregolari e giustifica i suoi ritardi e le sue assenze come vaghe missioni di lavoro fuori sede. È bravo a convincervi ad andare a questa o quella riunione al suo posto, ma sorvola sui dettagli e intanto vi rifila il bidone, oltre a mettere a repentaglio le vostre performance e a rubare il vostro tempo.
Sono compagni di lavori, questi, che rovinano la vita. Come metterli al tappeto per non farsi schiacciare: «Cominciate col rifiutare la cultura dell’ipocrisia “gentilezza a tutti i costi”», indica la prima regola di “Io odio la gente”, il libro che oltre a fornire gli strumenti per neutralizzare i compagni di lavoro idioti (la mamma degli idioti è sempre incinta), regala perle di saggezza per farvi diventare solisti validi e capaci di staccarvi dal gruppo.
La figura del lavoratore solista pone fine al mito americano del team e dell’efficienza del lavoro di squadra nato nel 1929 e sviluppatosi negli anni ’70. Le grandi compagnie come Apple e Google sono già popolate da solisti (anche per lo snellimento causato dalla crisi) che hanno rimpiazzato i metodi fallimentari delle riunioni fiume e delle parole in libertà. Il team ha fatto il suo tempo: non ci dimentichiamo che il credit crunch è un tragico esempio di come a un avido gruppo di teste pensanti sia stato permesso di danneggiare gli individui. Il solista ha capito che c’è un collegamento diretto tra l’impegno individuale e il risultato.
Sempre meglio soli... che in cattiva compagnia.
...di Daniela Mastromattei
pubblicato su " Libero " del 25 - 10 - 2009
Anna righeblu - ideeweekend
Al suo interno, con una sola navata e la volta a botte, presenta numerosi affreschi, recuperati grazie ad un recente, provvidenziale restauro.
I dipinti, opera di artisti bormini come il Sermondi e milanesi come De Buris, risalirebbero al XV secolo.
La volta presenta la rappresentazione della Trinità con gli evangelisti, e la discesa dello Spirito Santo sui dodici apostoli nel giorno della Pentecoste.
Tra loro, stranamente, sono raffigurate anche la Madonna e la Maddalena, la cui presenza non è citata negli Atti degli apostoli.
Soprattutto la presenza di quest'ultima appare più insolita, anche se si giustifica con il culto che, per la Maddalena, era particolarmente sentito nel Bormino.
Se siete a Bormio, cercate la chiesa sconsacrata: è assolutamente da vedere!
Anna righeblu ideeweekend
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Di origini antichissime, all’epoca della Repubblica veneta rappresentava l’unica via in ingresso e in uscita dalla città e, per i mercanti provenienti dal passo Gavia, era punto di sosta obbligata: la vecchia dogana si trovava proprio qui, in prossimità del ponte.
La sua origine sembra risalire al XIV secolo anche se, in seguito ad una rovinosa alluvione, fu ricostruito circa due secoli dopo.
Nella sua parte centrale si trovano due edicole votive nelle quali sono raffigurati San Giovanni Nepomuceno e la Santa Croce.
E’ tuttora aperto al traffico e conduce nella storica contrada di Combo, sui cui vicoli si affacciano le antiche case rurali con le finestre traboccanti di fiori.
Su una delle piazzette si trova la trecentesca chiesa di S. Antonio che, all’interno, custodisce il Santo Crocifisso e diversi affreschi.
Le varie leggende sul Santo Crocifisso di Combo evidenziano la natura miracolosa della sua origine affiancandola ad eventi eccezionali legati alle tradizioni locali.
La devozione popolare, nel tempo, l’ha reso protagonista dei cosiddetti “trasporti”: solenni processioni indette in occasione di calamità naturali, con passaggio sotto monumentali archi in legno, allestiti appositamente per l’evento, e adornati con rami di pino.
Anna Righeblu Ideeweekend
Itinerari: Bormio, centro storico - il ponte di Combo - ex chiesa di Santo Spirito, affreschi recuperati -
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Rapida occhiata coniugale… e risposta “Direi proprio di sì, immagino siano specialità locali…”… e lei: “Sì, certo, sono frittelle di grano saraceno, ripiene con formaggio, molto buone, una specialità della Valtellina”…
…Già! Eravamo in vacanza a Bormio, presso l’accogliente hotel Vallecetta
e gli “Sciatt”, buonissimi, li abbiamo gustati, come antipasto, nell’ottimo ristorante dell’hotel, in uno dei quattro giorni trascorsi nella cittadina.
Le frittelle sono delle palline irregolari, gonfie e di colore variegato, servite su una base di cicorino tritato sottilmente.
Ecco la ricetta:
per 4 persone:
farina di grano saraceno: 300 g
farina bianca comune: 200 g
pane grattugiato: 2 cucchiai circa
formaggio Casera tagliato a cubetti: 300g
acqua gasata: ½ bicchiere circa
birra: 1 bicchiere circa
grappa: ½ tazzina da caffè
sale
olio per friggere
cicorino da insalata, tagliato sottile e condito
Procedimento:
In una ciotola mescolare le farine e impastare, con acqua gasata, birra e grappa, fino ad ottenere un impasto denso (se necessario, regolare la consistenza aggiungendo gradualmente il pane grattugiato). Salare leggermente, coprire con un panno e lasciare riposare per circa 1 ora e mezza. Tagliare a dadini il Casera e conservarlo in frigo.
Trascorso il tempo di riposo della pasta, unire i dadi di formaggio. In un tegame, riscaldare un’abbondante quantità d’olio e, utilizzando due cucchiai, lasciarvi cadere i cubetti di formaggio, uno alla volta, con poco impasto. Devono essere ben distaccati, in modo che possano friggere e gonfiarsi. Quando sono ben dorati, scolarli su carta assorbente e servirli, ben caldi, sul cicorino condito.
PS: ho appuntato la ricetta velocemente, scambiando due chiacchiere con una simpatica signora di Bormio, in attesa del bus navetta. Spero non ci siano inesattezze, io non l’ho ancora sperimentata…
E, per la cronaca, in dialetto valtellinese “sciatt” vuol dire “rospo”!
Anna - righeblu - ideeweekend
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Il paesaggio è incantevole e si specchia nell’acqua, con gradevoli effetti di simmetria.
In basso, vette e nubi sembrano rincorrersi, pigramente, nel lento movimento della superficie appena increspata dalla brezza.
Questa gemma della natura si trova incastonata a un’altitudine di 1640 metri, tra le cime del parco naturale delle Vedrette di Ries - Aurina, territorio di Rasun-Anterselva, Alto Adige, provincia di Bolzano.
Il percorso naturalistico che si snoda attorno al lago non presenta particolari livelli di difficoltà, è pressoché pianeggiante e può essere affrontato con scarpe da trekking leggero e bastoncini.
La lunghezza è di circa 3 chilometri … di quiete, boschi, morbidi pendii, orizzonti, colori, verdi, azzurri, fiori, scorci bellissimi, natura incontaminata…
Al termine del percorso (o all’inizio, dipende…) ci si può soffermare ad ammirare i cigni o ad intenerirsi allo sguardo dei cavallini nani.
Si può scoprire così (tavola segnaletica) che sull’origine del lago è stata tramandata una leggenda…
“ Tanto tempo fa nella zona dove oggi c’è il lago di Anterselva, si trovavano tre masi, i cui abitanti erano molto duri di cuore…” Dopo aver donato pane ammuffito a un vecchio mendicante giunto nel paese, questi, per la rabbia, avrebbe lanciato una maledizione, profetizzando la nascita di una sorgente dietro ogni maso. Le sorgenti si sarebbero ingrossate colmando d’acqua la valle, fino a sommergere le case. Il quarto giorno la profezia si sarebbe avverata, per la giusta punizione degli avari contadini, facendo nascere il bellissimo lago.
In realtà l’origine sarebbe avvenuta in seguito alla chiusura della valle causata da ripetute frane.
Anna righeblu ideeweekend
Il centro storico.
Una breve vacanza progettata all’ultimo momento… per sottrarsi alla morsa dell’afa romana e con il pretesto dell’avvicinamento alla definitiva méta delle vacanze!
Bormio
Bormio si è rivelata un concentrato di piacevoli ed interessanti proposte… a condizione di riuscire a scoprirle tutte… impresa ardua in soli quattro giorni!
Per cominciare, nel delizioso ed animato centro storico è possibile ritrovare molte testimonianze delle trascorse vicende e della ricchezza culturale di questo territorio, oggi noto prevalentemente come stazione termale e sciistica.
La storia di Bormio è legata alla Valtellina e alla sua posizione strategica, prossima ai valichi alpini verso l’Europa.
Furono proprio le dispute sul territorio a consentirle l’acquisizione di importanti privilegi sui dazi delle merci in transito e una crescente autonomia e ricchezza.
Ancora oggi è possibile “respirare” lo splendore della cultura e del passato di questa antica Contea alpina, a partire dal “cuore” di Bormio, la Piazza Cavour o del “Kuerc”.
Nella piazza, leggermente in salita, si trovano i monumenti più significativi della cittadina:
il “Kuerc” (coperchio, in dialetto bormino, utilizzato per le adunanze e l’amministrazione della giustizia), la Torre delle ore,
la Cattedrale dei Santi Gervasio e Protasio e, sui lati opposti, si possono ammirare antichi palazzi nobiliari con notevoli portali in legno e facciate decorate da affreschi simbolici.
Sul retro della piazza, in alto, si trova il “Quadrilatero degli Alberti”, un gruppo di antichi edifici appartenuti agli Alberti, nobili e potenti signori di Bormio.
Della stessa famiglia è l’omonima torre (del XIII secolo) in pietra grigia, posta lungo l’arteria pedonale di Via Roma.
Sulla stessa via si trova la trecentesca Chiesa di San Vitale, in stile romanico, con facciata a capanna e resti di affreschi trecenteschi all’interno e in parte delle pareti esterne.
Anna Righeblu Ideeweekend
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