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Vat Phu - Champasak - Laos
foto da http://blog.bittercoder.com |
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Un post scritto da tempo e lasciato lì, tra le bozze, in attesa...
L'arte del "Viaggiare" non è nella semplice ricerca e visita dei luoghi. E' nella visione personale della conoscenza, sostenuta dalle storie, dai riti e dalle esperienze, nell'interazione con il quotidiano di chi quei luoghi "vive".
Itinerari interiori, dove le dimensioni del tempo e dello spazio convivono, in armonia con i lenti ritmi del divenire... Come in questi scorci di Sud Est Asiatico, raccontati da un'archeologa italiana, in questo datato ma interessante e sempre attuale articolo di Massimo Morello.
"Ascoltate le fiabe e cantate con i khmer"
da: la Repubblica web, settembre 2006
- VITE IN ALTRI MONDI/1 - Il Sud Est Asiatico, la sua gente, la sua dolcezza e bellezza, raccontati da un'italiana che ha scelto di lavorare qui: Patrizia Zolese, archeologa consultant dell'Unesco.
di Massimo Morello Foto di Andrea Pistolesi
- Mi faccio raccontare le favole per capire l'immaginario locale.
Immancabilmente c'è una strega, o un principe, una bella ragazza. Solo che non finiscono per vivere assieme felici e contenti.
In Laos, per esempio, la ragazza muore e si trasforma: in un albero, un pesce.
Quando me le raccontavano, mi commuovevo.
"Peccato, non ha sposato il principe" dicevo. E loro si sorprendevano. "Ma come, pensa: si è trasformata in un pesce tutto colorato". Per loro era una cosa bellissima".
Patrizia Zolese , archeologa, è lei stessa una straordinaria affabulatrice.
Le sue storie si susseguono come le sigarette che continua ad accendere.
Sono scorci su mondi perduti e regioni arcane.
[...]
Scorrono scene di viaggio in Balucistan, persa al confine tra la frontiera pakistana e quella afghana, una zona di trafficanti d'armi, tè, oppio, clandestini e gli incontri coi Pathan, i guerrieri delle montagne dell'Afghanistan orientale:
"Ero amata e trattata come una principessa".
Ricorda Karachi trent'anni fa:
"Le mille e una notte. Feste a tema. E se il tema era il verde, per le signore era semplice: si coprivano di smeraldi".
L'arrivo in Laos, nel 1990:
"Non c'era luce, non c'erano strade, abitavo in una capanna sul
Mekong con una collega francese".
Patrizia Zolese è responsabile archeologico-culturale per l'Asia della Fondazione Lerici, consultant dell'ufficio Unesco per l'area Asia-Pacifico, esperta d'architettura orientale al Politecnico di Milano.
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Vat Phu - Champasak - Laos
foto da http://blog.bittercoder.com |
Trascorre sei mesi l'anno in Italia e gli altri sul campo, tra il sito di Vat Phu (nelle foto di queste pagine), nel sud del Laos, definito "la culla della civiltà khmer", e quello di My Son, sulla costa centrale del Vietnam, uno dei più importanti centri dell'antico regno dei Champa.
Entrambi consacrati dall'Unesco Patrimonio culturale dell'umanità, proprio per il lavoro delle missioni archeologiche di cui Patrizia è direttore tecnico.
Stava progettando un'altra missione in Birmania - non usa il nome "ufficiale" di Myanmar - ma è stata bloccata dall'embargo nei confronti di questa nazione, accusata di violazione dei diritti umani.
"Secondo questo principio dovrebbe essere nella lista nera mezzo mondo", obietta. "Personalmente, consiglio a tutti di andare in Birmania. Il turista sensibile, che entra in contatto con la gente, è un narratore, un veicolo d'idee. E le idee non si fermano. Le idee capovolgono le situazioni".
Le esperienze di una persona così diventano inevitabilmente lezioni di vita e di viaggio.
"Non viaggio per viaggiare, se non ho motivo di conoscenza. Il viaggio è un mezzo di comprensione. Capire che cosa ha condotto qualcuno a lavorare in cima a una montagna: questo ti fa capire i meccanismi della storia. La ricerca di me stessa passa anche attraverso questo studio, l'osservazione, il contatto con le persone".
In questa ricerca Patrizia ha sempre seguito la via più difficile, a volte politicamente scorretta.
"Non dobbiamo andare nei Paesi facili. Più i posti sono "diversi", lontani dal nostro modo di pensare, più possiamo acquisire conoscenza, siamo costretti a entrare in contatto con la realtà locale. Bisogna arrangiarsi, saper inventare".
È una regola esistenziale.
"Può capitare di trovarsi in situazioni in cui non si sa che fare, ma poi ti rendi conto che è una scuola esistenziale. Il viaggio è bello perché è una prova di resistenza alle proprie solitudini".
Alcuni ricordi, però, sembrano turbarla.
"Non tutto si può raccontare. Mi sembrerebbe un'offesa violare certe sensazioni, la solitudine. Entri in un vortice di solitudine cui non puoi opporti, devi farne parte, saperlo sfruttare".
Forse è proprio per la sofferenza che può accompagnare il viaggio, o forse per la sua formazione professionale, che Patrizia mantiene un atteggiamento di rigore.
"Come educatrice mi stupisco delle giustificazioni alla "stupidità". Perché devo abbandonare i miei allievi al concetto della stupidità? Devo guidare i miei allievi a vedere il bello".
Il che vale per chiunque.
"Le persone che viaggiano devono essere motivate con onestà intellettuale, pronte a capire, con un minimo di preparazione. Leggere qualcosa della storia, guardare una mappa: questo è categorico. Bisogna viaggiare con coscienza, tanto più oggi. Il viaggio è talmente facilitato che può svilirsi. Anche a chi ha poco tempo, consiglio di evitare i percorsi canonici. Il viaggio come riproduzione delle cose che hai nel tuo Paese è totalmente inutile".
Secondo l'archeologa l'esperienza del viaggio dovrebbe seguire quella del viandante d'una volta, colui che passava dal caravanserraglio alla casa, sperimentando sempre una differente accoglienza psicologica.
"Ricordo ancora la morbidezza dei cuscini delle case anatoliche dove mi fermavo a dormire nei miei primi viaggi. Ricordo l'odore della cucina al mattino, un odore di yogurt, di miele. Ricordo l'affetto delle persone che mi ospitavano. Sono le persone che fanno i Paesi. E le persone saranno i nostri ricordi. Il ricordo dei panorami è destinato a sfumare, i visi resteranno vivi. Sono loro che ci faranno compagnia quando non potremo più viaggiare".
Per capire le persone e i loro Paesi ci vuole tempo. Non in senso lineare, bensì interiore.
"Devi prendere il viaggio come una pausa dal tempo. Abbandonare la velocità, di comunicazione, d'immagine, di pensiero. Sederti su un sasso e parlare con un pellegrino. Osservare il gesto elegante del pescatore che getta una rete. Scambiare esperienze, gioie e dolori con un altro simile che vive a longitudini estreme".
Patrizia ricorda quello che le diceva il suo maestro,
Giuseppe Tucci, il più grande orientalista italiano del Novecento.
"Potrai trovarti in cima a una montagna. Potrai parlare con un pastore. Attenzione a come gli parli, potrebbe essere un filosofo".
Il Sud Est Asiatico secondo Patrizia è una sorta di metafora delle diversità.
"È un mondo: all'interno delle stesse nazioni ci sono usi, costumi, etnie diverse. Hai diverse facce, costumi, metodi di porsi. Va tenuto presente. Noi siamo abituati a essere monoculturali e monoreligiosi".
È in questo mondo che si può affinare l'arte del viaggio.
"Devi esercitarti alla comprensione, selezionare le immagini, i volti, i gusti, per avere la percezione delle differenze tra i popoli, i cibi, gli accostamenti cromatici delle architetture, i concetti estetici".
I compiti che Patrizia pone all'aspirante viaggiatore sembrano abbastanza difficili, e forse se ne rende conto anche lei. Ma non fa sconti.
"Sono Paesi complessi. Proprio per questo dobbiamo studiarne la storia, almeno dal periodo coloniale. Sapere a che cosa ha portato e di cui ancora vediamo i segni. Il viet, appena ti diventa amico, la prima cosa che ti racconta è che cosa ha fatto negli anni '70. Questa storia bisogna conoscerla. Viaggiare deve essere anche un atto politico, di una politica con la P maiuscola".
Sono questa storia e questa politica, secondo Patrizia, che rendono il Sud Est Asiatico un posto sicuro.
[...]
Il livello successivo di conoscenza è quello dell'identità culturale:
"In Sud Est Asiatico è l'armonia ciò che governa l'essere civile. L'uomo è civile se riesce a stabilire armonia tra sé e l'altro, non turbare l'armonia dell'altro. Quindi, alla domanda "come stai?" la risposta è sempre "bene". Si vede moltissimo in Laos. Dove chiunque ti saluta con un sorriso. Dove la gente non urla. Perché la voce alta può turbare la tua tranquillità. Anche in momenti gravi, in discussioni accese, la voce non si alza perché chi alza la voce è un animale".
In quest'ottica armonica rientrano altre semplici regole.
"Essere modesti, non fare prediche. Ascoltare gli altri. Non toccare i capelli dei bambini perché la testa è il luogo della mente. Non fissare le donne, anche se sono libere, perché si imbarazzano. Non rifiutare il cibo che ti offrono. Non andarsene in giro seminudi perché è un'offesa all'etica e al pudore. Tutti comportamenti per i quali non dovrebbe esserci bisogno di una ricerca antropologica. E poi ricordiamoci sempre che in questa parte del mondo conoscono il nostro passato d'arte e cultura: cerchiamo di non disilluderli".
Il galateo è importante per Patrizia soprattutto come codice di partecipazione e condivisione.
"Ora che si è sviluppato il turismo interno è interessante dare un'occhiata a dove vanno i locali. Basta rivolgersi alle agenzie del posto. Così è possibile partecipare a riti, matrimoni, feste, tanto più che gli ospiti stranieri sono considerati un segno di status.
L'importante è porsi in maniera costruttiva e curiosa. E allora fatevi tradurre i testi delle loro canzoni: capirete com'è visto l'amore, qual è la percezione del corteggiamento. E poi cantate con loro: è una forma di comunicazione, di condivisione della felicità".
Per lei, però, il modo migliore per godersi questa parte del mondo è ancora più semplice.
"Stare seduti sui seggiolini dei bar e fumarsi una sigaretta in pace con i locali. Godendo di quell'istante come loro, che sono pochi anni che hanno questo lusso. Viet, lao, cambogiani, birmani sono pieni di storie che vale la pena ascoltare". -
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